Nel giorno 1.2

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Lo chef del telepasto straordinario,
stirato in volto e chino sopra i fuochi
spenti, con voce rotta a proclamare
il gran digiuno universale, pianse

le lacrime di sale per guarnire
la sua insalata d'aria di ghiacciaia
nel bianco piatto austero e luccicante
(quel giorno nacque il detto "il piatto piange")

Nel giorno in cui per primo un piatto pianse
venne l'operatrice con l'araldo
a consegnarmi il piano dettagliato
di dismissione e ricollocamento

per mezza orecchia, un becco, qualche dente,
nel modulo in tre copie da firmare
con nome utente, password, attestato
di fedeltà biologica alla legge.

Venne l'operatrice, salmodiando
con voce lamentosa e concentrata
le vecchie strofe del regolamento
sui modi degli anziani in corridoio:

"non scatarrare sopra il pavimento,
non trascinare i piedi camminando,
non ritrovar le nevi d'altri anni,
non lamentarti del brodino freddo..."


Venne alla camerata, tra le file
sospese sotto e sopra, nei ponteggi
pericolanti e scricchiolanti avanti
e indietro, a destra e a manca, ancora e ancora,

rollando come barche alla banchina;
tra corde e reti e scale a precipizio,
amache percolanti umori neri
con raschio risonante d'oltretomba

sopra i lamenti umidi e sommessi
d'altre tribolazioni imbozzolate
tra le alte impalcature a decantare
prima di sciogliersi tra vita e morte.

Venne l'operatrice, barba nera
filamentosa  e fungiforme attorno
al viso flaccido, bilioso, sciolto
in pieghe caduche, disordinate,

venne con il suo araldo piede svelto,
fiato infinito e voce rampicante
su per gli strati delle impalcature
a trapanare timpani ovattati

coi nomi dell'appello universale
di protocolli e piani dettagliati,
chiusure pratica ed archiviazioni,
con il mio nome perso in mezzo a tanti.

Nel giorno in cui per primo un piatto pianse,
con gli occhi sul televisore spento,
conobbi quando, dove, come, quanto,
senza piacere, nè stretta di mano.

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