Rērŭm redrum



*

resto stupito (istupidito?) dalla pioggia:
questa ressa che mi pressa, che mi arresta
dentro l'ampolla, la pozza, a decantare.
Mi dico che resistere non serve,
la resa è una restituzione,
la presa stretta e calda da energia,
calore, svapora l'umore restìo
(appiccicato all'abito, rapprende),
restaura il benestare ed il benessere,
l'essere con, che si conserva
alle vertigini dell'eresia
(premere il tasto reset, poter mescere
almeno una parvenza di respiro
nel boccheggìo cianotico rituale)
nelle aride distese desolanti
ai piedi delle are sacrificali,
tra i resti consumati degli agnelli,
degli arnesi operosi, già  rossi
dell'ira e l'ardore di fiamme ruggenti,
ed ora di ruggine erosi, stremati,
confusi alle ceneri, al fresco di un'ombra,
spettrale ed immemore solco di lapidi
in fila ordinata, a tramare l'oblio
del quale soltanto ritrarre memoria
rubando le cetre alle fronde dei salici.

**

in quel separarsi, emigrare solingo,
solare sapersi re di sè stesssi,
là, dietro sipari, sparire alle quinte,
re fusi in un'unica linea di testo,
di mano affrescata col viola del sangue
che più non si sfrega e sparisce, rimane,
imbratta le mani che stringe e non stinge,
costringe di nuovo a lavarsele e ancora
rimane, beffardo, restringe lo sguardo
a quella corona di spine in rigoglio
che affonda gli artigli e rimescola il fiotto
vermiglio del dare e subire ed estorcere,
al confondersi del viso tra le mani;
nel grande e continuo ritorcersi d'ogni
irosa ed arresa irresponsabilità
all'avanzare ominoso della foresta,
selvaggia ed oscura foresta di ferro,
di lance frondute, di croci fiorite
- le streghe stravolsero, dalle brughiere,
le nostre esistenze risibili e piane,
si misero a osservare il nostro
misero annaspare, sorridendo appena
dalle fessure nere ed arse:
così ci piacque pensare la sconfitta.

***

la stanza murata, residui d'un pasto,
la residenza è consona al mio stato;
il respiro regolare mi conforta,
le mani candide, le dita lunghe,
inadatte a scavare  solchi nella roccia
(un tempo non eran così);
nascoste tra le grate, lontano, le nubi
trascinano il trono lucente dei cieli
e le sue terrificanti contese;
s'apprestano a sgravare mille figli
arresi alle piovosità d'autunno
sulle scoscese e lisce pareti
dove scivolare, lasciando dietro sè
la scia viscosa di ogni pretesa
di riconoscimento e riconoscenza,
la scia muscosa di qualche improvvida crescita
ostinata, sulla costa a strapiombo
da cui non osammo calare,
semmai colare, strisciando le nostre
lunghezze all'estremo, spezzandoci
e ricomponendoci alfine in un'unica,
torbida, placida, assidua corrente
- l'ampolla, la pozza, la piazza travasa,
non resta stagnante ma esplora, esaurisce,
s'estende in rigagnoli e assorbenze,
s'interra e scompare, al dunque, scorre via
in cerca di un qualunque mare dove alfine
svaporare.

7 commenti:

  1. Cosabozzù, devo ripassarci per commentare! XD
    A dopo, piccolo dittatore siderale! :D

    Moz-

    RispondiElimina
  2. Un universo rarefatto stavolta, molto angusto, terreno, spicciolo (il boccheggio, la pioggia che assale, la speranza di un mare dove svaporare tutta questa costrizione claustrofobica). E' come il Signore del Cielo stavolta sia incastrato nei files terreni e non osservi - alla GoogleEarth - da molto lontano ma sporcato di polvere appiccicosa, con un punto di vista certo grandangolarmente macroscopico ma occluso da una stanza murata. Si. Io je darei de reset...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. il mare non è tanto una speranza, quanto un comodo sbocco al seguito della gravità, svaporare non è sempre un bene, dipende da quale odore e sapore porti addosso...

      il tasto reset è troppo pesante, per una generazione afflitta da sensi di colpa per quello che hanno fatto i suoi padri e nonni, che porta il vittimismo come distintivo e non sa trovare, in mezzo all'afflusso infinito di discorsi altrui, le proprie vittime e i propri carnefici, abbiamo tolto le cetre alle fronde dei salici, e adesso ce la cantiamo e ce la suoniamo, ma questo non significa che l'esilio da babilonia sia finito, è che non sappiamo manco più dove e cosa siano, babilonia e israele.

      Elimina
  3. De Rerum Cosabozzuta.
    In pratica, hai descritto le sensazioni che si provano nello spazio infinitesimali del cosmo?

    Moz-

    RispondiElimina
    Risposte
    1. direi, più che nel cosmo, in una particolare e minuscola regione del cosmo, in quegli spazi infinitesimali che intercorrono tra corpo e corpo nelle vie del centro, il sabato pomeriggio, o nel traffico di indirizzi ip di fronte a una qualche polemicuzza su quanto è brutta la vita dei ggiovani senza futuro, o tra molecole d'aria e molecole d'anidride carbonica nell'aria, specialmente l'aria viziata di qualche locale per studenti sfaccendati e vecchi ubriaconi anarcoidi, eccetera...

      Elimina
    2. Ahaha, praticamente la via che frequenteremmo :)

      Moz-

      Elimina
    3. sì, più o meno, specialmente se fossimo particelle di particelle di particelle contenenti universi contenenti altre vie lattee contenenti altre terre contenenti altri noi...

      Elimina