Il Re di Persia

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Prima cinquina    
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Il re di Persia, un giorno, ripassando
le antiche consuetudini canore
di un altro antico come, dove, quando,
scopri come rigenerarsi il cuore.

Quel cuore disperato ed allo sbando,
sempre più lento e privo di calore,
tutto d'un tratto, come ad un comando,
riprese a scalpitare con furore.

S'alzò dal letto, flaccido, tremante
come la luce pavida del cero,
cercando le sue braghe ed il turbante,

la tunica, il bastone da passeggio;
si avviò con passo lento, quasi austero,
con passo attento, come su un ponteggio.



**

Nel fondo di cunicoli cadenti,
tra stretti, bassi, grevi muri arcuati,
tra intarsi delle muffe iridescenti,
la polvere s'alzava in stormi alati

scoppiando sotto i piedi molli e lenti,
tra i resti di mobilio sparpagliati,
sui dislivelli di pietre taglienti
dove era un pavimento, in tempi andati.

Il lieve velo delle ragnatele
solleticava il volto del sovrano,
man mano più severo e più sereno

alla presa del passo sul terreno,
più rapido, più forte, più lontano,
spoglio di esitazioni e di cautele.



***

E nel cammino s'inforzava il canto,
si distendeva limpida la voce
nell'elencare i titoli ed il vanto
di grandi imprese ed indole feroce,

nel rimembrar la gioventù e l'incanto
dei giorni in cui, lontano dalla foce,
il fiume della vita, vasto e santo,
scorreva con dolcezza, eppur veloce;

e rimbalzava tra le pietre stanche,
tagliando come spada nelle quiete
incrostazioni di infinite ore

disperso in un sepolcro, tra le bianche
membra di vecchio sparse, senza sete
nè fame o volontà, senza rancore.



****

E giunse alfine a un ripido gradino
consunto e diroccato dall'attesa,
la vana, lunga attesa di un mattino
dopo la notte amorfa, scura e tesa.

E giunse a superarne, dopo il primo,
l'ennesimo ed un altro, nell'ascesa
malfida e scivolosa, a capo chino,
la tremula candela ancora accesa.

E un tenue soffio giunse, a scompigliare
la barba ed i capelli lunghi e bianchi;
con fresca voce sopra gli occhi stanchi

e bassi, opachi, giunse ad annunciare
un sole sopra cieli azzurri ed ampi,
sui verdi, generosi, vasti campi.



-Deviazioni-



(La Guardia)


g

La guardia siede sulla sedia e pensa
al seno tondo della cameriera
che lo ha servito proprio l'altra sera,
china sul tavolo per un'intensa

frazione di secondo. Siede e spera
di rivederla anche quest'oggi, in mensa,
servir la cena per la truppa immensa
che grida, canta, suda, beve, sclera.

E mentre spera si accarezza piano;
ma ecco, giunge l'eco di lontano
d'un canto poderoso, antico, insano.

S'insinua dall'orecchia nella testa,
rimbalza dentro l'occhio, dove infesta
con lampi iridescenti, in una festa

di arcobaleni e fiori fiammeggianti
su cieli alieni tremuli, distanti,
neri come formiche brulicanti.


gg

Pesante e vuota al tempo stessa, cola
e cade, secca e flaccida, colora
di rosso il pavimento, e a un tempo vola
nel vasto firmamento, s'accalora,

suda di caldo e freddo, brucia, implora
con mormorii sconnessi, si consola
sputando un dente e sputacchiando ancora
i nomi di una lingua nuova e sola,

adatta a raccontare questa cosa
sfrigliosa illumescente immarginaria
che esplode su sè stessa e ancora e resta

immota, imperturbabile, sinuosa
nel cerchio della danza planetaria
dove si giostra e gioca e manifesta

l'irriducibile, la misteriosa
ombra di spirito infinita e varia
d'un canto fragoroso esploso in testa.



(La Porta)

Seduta sugli stipiti di piombo,
torreggia sulla cupa scalinata
con calma, nel suo torpido e profondo
sonno innocente d'infinita data.

Sotto la volta, dietro l'inferriata,
sogna di un pozzo scuro senza fondo,
di rumorosa gente affaccendata
sul nero dove morte e noia incombono.

All'improvviso un tremolìo ed un rombo
spezza la quiete e il sonno, l'inferriata
si torce, lancia un urlo furibondo
mentre la pietra sgretola, spazzata

da un vortice di strascicate, assorte,
grottesche voci stridule e distorte.



*****

E giunto in cima il canto, ancor più forte,
stravolse i muri al tocco suo letale,
squassò d'un impeto le grandi porte
di piombo poste a sigillar le scale.

Un grumo senza forma di contorte
membra scomposte ed in posa fetale
ancora gorgogliava, la sua morte
spargendo in modo sconcio e innaturale

nel decomporsi della luce gialla.
Le pietre sfarinarono, frusciando
come sabbia che scivola di mano,

a rivelare il puntillìo lontano
di bianche stelle sparse in altri quando
donde la luce tremola e rimpalla,

la vasta sala nera su cui balla
per attimi ed eternità bruciando
negli occhi di chi può vederla, invano.



(un innesto)




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Seconda cinquina    
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prima o dopo.

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